Crioconservazione delle cellule staminali: ecco l’iter che abbiamo seguito prima e dopo la nascita di Edoardo

Una delle scelte importanti che Leonardo e io ci siamo trovati ad affrontare durante l’attesa di Edoardo è stata la possibilità di conservare le cellule staminali. Non se ne parla molto: spesso non conservarle non è una scelta, ma una non conoscenza dell’argomento. Noi abbiamo iniziato a discuterne grazie all’esperienza avuta da una coppia di amici diventati genitori qualche anno prima. Ci siamo affidati alla stessa società, Genico, perché anche il mio ginecologo ne ha confermato la validità, per la possibilità di essere seguiti da un consulente dedicato e di usufruire dello stoccaggio multiplo (ovvero eseguire test prima di scongelare un intero campione e utilizzare i campioni più volte e in tempi diversi).

Cosa sono le cellule staminali

Le cellule staminali sono progenitori cellulari ad alto potenziale proliferativo in grado di auto-rinnovarsi (cioè capaci di riprodurre cellule figlie uguali a se stesse) e di generare uno o più tipi cellulari specializzati (cioè capaci di dare origine a tutte le cellule specializzate che costituiscono vari tessuti e organi).

Le cellule staminali emopoietiche sono le progenitrici di tutte le linee cellulari del sangue e sono presenti nel sangue cordonale, nel midollo osseo e nel sangue periferico; le cellule staminali mesenchimali si differenziano in molti tipi di tessuti e si trovano nel tessuto cordonale, nel liquido amniotico, nella membrana placentare interna, nel midollo osseo, nella polpa dentale e nei tessuti adiposi di un individuo adulto.

Per molte malattie del sangue, il trapianto di cellule staminali è approvato come terapia standard. Il medico può scegliere di utilizzare cellule staminali autologhe, ossia provenienti dall’organismo del paziente stesso, o allogeniche, ossia provenienti da una persona diversa dal paziente ma compatibile. Le cellule staminali del sangue cordonale, del cordone ombelicale e della placenta possono essere prelevate subito dopo il parto per essere crioconservate: questo consente di mettere a disposizione dei medici una scelta in più nel caso di verificasse in futuro la necessità di un trapianto.

Ci sono poi malattie per cui i trapianti di cellule staminali hanno generato miglioramenti nel paziente, ma il trattamento non è ancora stato adottato come terapia standard. In altri casi il trapianto ha generato un rallentamento della malattia, ma non un miglioramento. Vi sono infine terapie sperimentali per verificare se il trapianto di cellule staminali possa essere efficace per una determinata malattia.

Qualche dato

La prima guarigione in seguito a un trapianto di questo tipo risale al 1988: un bambino colpito da anemia di Franconi è stato curato con le cellule staminali prelevate dal cordone ombelicale della sorellina appena nata.

Nel 2004 è avvenuto il primo trapianto per la cura della leucemia con cellule staminali prelevate e crioconservate alla nascita: protagonista una bimba tedesca che, a distanza di 6 anni, è stata dichiarata completamente guarita.

Ogni anno nel mondo oltre 50.000 persone ricevono un trapianto di cellule staminali emopoietiche (il primo della storia è avvenuto nel 1957); i trapianti di cellule staminali da sangue cordonale, invece, sono stati più di 30.000 dal 1988: nel 2011 hanno raggiunto il 20% del totale.

Il processo di raccolta e conservazione

Per conservare le cellule staminali, è necessario raccogliere il sangue cordonale e/o il cordone ombelicale e/o la placenta subito dopo il parto. La raccolta è eseguita dal personale medico in sala parto, tramite un kit, da consegnare all’ostetrica, dove sono contenuti gli strumenti e le istruzioni necessarie. La raccolta si fa a nascita avvenuta e dopo la recisione del cordone ombelicale, senza alcuna implicazione se non quella di rinunciare al clampaggio ritardato. Dopo il parto, il kit viene riconsegnato ai genitori e, con Genico, il consulente (avvisato al momento del ricovero) si occupa della verifica e della spedizione in laboratorio. Una volta congelate, le sacche contenenti le cellule staminali vengono messe a dimora in appositi bio-contenitori a vapori di azoto, che le mantengono costantemente a una temperatura inferiore a -170°C.

In situazioni normali il cordone viene tagliato, o clampato, come si dice in termini medici, dopo almeno due minuti dal parto. Questa attesa di due minuti è importante in alcune situazioni, per esempio nei bambini nati prima del termine di una gravidanza, nei bambini che nascono con un peso molto basso, in tutte le situazioni in cui ci sono rischi di anemia nel bambino e nei bambini di mamme che provengono da Paesi dove ci sono malattie che spesso si associano all’anemia. Un bambino sano che nasce a termine non corre questi rischi, quindi il suo cordone si può tranquillamente tagliare entro due minuti dal parto.

(S. Manetti, “Un dono che può salvare una vita”, UPPA 2/2017)

Conservazione dedicata e donazione alla collettività 

In Italia, il Ministero della Salute riconosce gratuitamente la possibilità di una conservazione dedicata delle cellule staminali quando il neonato o un familiare stretto presenti al momento della raccolta una patologia curabile con il trapianto o quando vi sia un rischio in famiglia di avere figli affetti da malattie geneticamente determinate (uso allogenico/autologo dedicato).

Altrimenti, la famiglia può decidere per la donazione a una banca pubblica italiana (uso allogenico, solidaristico), ma è necessario che il parto avvenga in una delle strutture ospedaliere che offrono questo servizio e non è il caso dell’Ospedale di Novara.

Per questo abbiamo scelto di conservare privatamente le cellule staminali contattando una biobanca privata estera e nella fattispecie svizzera (uso autologo, personale).

Come avviare l’iter di conservazione dedicata

Dopo l’incontro informativo con la consulente (che si può richiedere dal sito) e la lettura di tutta la documentazione ricevuta, abbiamo confermato la scelta di conservare privatamente le cellule staminali di Edoardo compilando, firmando (05/01/2017) e inviando a Genico l’accordo in duplice copia.

L’accordo regola diritti e doveri delle parti nelle varie situazioni in cui ci si può trovare. Il prelievo del campione non implica, infatti, che la crioconservazione avverrà con successo: il laboratorio avvia il processo di isolamento, quantificazione e controllo della qualità e solo se le cellule staminali risultano rispondenti agli standard di qualità e quantità il campione viene crioconservato; in questo caso lo stoccaggio viene garantito per 30 anni.

Una volta stipulato l’accordo, Genico ci ha inviato la fattura relativa alla spedizione del kit e all’apertura della pratica e, a pagamento avvenuto (2.660€ per la crioconservazione delle cellule staminali contenute nel sangue cordonale e del tessuto del cordone ombelicale), abbiamo ricevuto il kit (26/01/2017).

Ottenimento del nulla osta da parte della Direzione Sanitaria

Il passo successivo è stato contattare la Direzione Sanitaria per ritirare i documenti necessari, in particolare il modulo di “richiesta di autorizzazione alla esportazione di campione di sangue del cordone ombelicale ad uso autologo“.

Premetto che l’Ospedale di Novara concede l’autorizzazione per il sangue e il cordone ma non per la placenta. Nonostante al corso di accompagnamento alla nascita mi avessero dato una speranza, il mio ginecologo mi ha confermato che, a Novara, la placenta può essere sì ceduta ai genitori, se essi si impegnano a smaltirla come rifiuto biologico (nonostante tipicamente chi la richiede ne fa usi strani: ho sentito parlare della moda di mangiarla, di essiccarla, di utilizzarla per concimare una pianta,…), ma non esportata per la crioconservazione.

La richiesta di autorizzazione deve essere accompagnata da:

  1. referti degli esami sul siero materno previsti dal Ministero della Salute, che devono essere effettuati durante gli ultimi 30 giorni di gravidanza: ho dovuto farne includere alcuni negli esami prenatali programmati (20/02/2017) e spedire una copia degli esiti anche a Genico;
  2. le certificazioni del kit di raccolta;
  3. la documentazione relativa alla procedura di raccolta e confezionamento;
  4. la ricevuta di pagamento del ticket per le spese sostenute dall’Azienda per la gestione globale della procedura: esso varia da struttura a struttura e a Novara è pari a 317,20 €;
  5. il modulo informativo per il counselling: si tratta di domande volte a verificare la correttezza delle informazioni in possesso dei genitori.

Ovviamente viene scoraggiata la conservazione privata, sottolineando come “non si abbiano evidenze scientifiche sull’utilità di questo tipo di conservazione, ai fini di un futuro utilizzo terapeutico”. Le argomentazioni sono riassumibili nei seguenti punti:

  • Una persona malata sottoposta a un trapianto autologo riceve un sistema immunitario, il proprio, che in precedenza non era riuscito a combattere la malattia di base; vi è il rischio che, insieme alle cellule staminali autologhe, siano somministrate al paziente anche cellule tumorali già presenti nel prodotto della raccolta.
  • Le statistiche dimostrano che se si dona il sangue del cordone e lo si conserva in una delle banche pubbliche italiane si ha il 97-98% di probabilità di rientrarne in possesso (per il complesso ruolo della compatibilità) qualora si presentasse la necessità.
  • La conservazione autologa è percepita come un’assicurazione sulla vita, ma rischia di generare un prodotto destinato a rimanere inutilizzato nella maggioranza assoluta dei casi.

Ma tutto questo, ovviamente, ha senso se la donazione alla collettività è garantita dall’ospedale.

Una volta ottenuto (in pochi giorni) il nulla osta, abbiamo conservato la versione originale, anticipato una copia digitale a Genico e allegato una copia cartacea alla documentazione per la spedizione del kit.

La documentazione da preparare prima del parto

Oltre alla documentazione per la richiesta del nulla osta all’esportazione, nelle ultime settimane prima del parto la cosa più complicata è stata proprio la preparazione dell’ulteriore documentazione necessaria (non completabile del tutto fino all’ultimo!), da condividere con Leonardo che avrebbe dovuto gestirla mentre io sarei stata impegnata a fare “altro”; abbiamo dovuto predisporre tre buste contenenti più moduli:

  1. documentazione per la banca (include, tra gli altri, il formulario di anamnesi medica, che ho dovuto compilare insieme alla ginecologa durante l’ultima visita; in questa busta viene inserito anche il verbale di raccolta consegnato dal personale medico dopo il parto);
  2. documentazione per il personale medico di sala parto;
  3. documentazione per la spedizione del kit: deve contenere, tra le altre cose, una copia del nulla osta ottenuto dalla Direzione Sanitaria e deve essere consegnata al consulente incaricato del ritiro del kit in ospedale insieme al kit stesso.

Conferma del buon esito del prelievo e della conservazione

La consulente me la sono effettivamente ritrovata in camera – unico volto (quasi) estraneo in mezzo ai visi emozionati di mamma, sorella e amiche – e la ricevuta di corretto confezionamento e ritiro del kit testimonia che la consegna al corriere è avvenuta alle ore 17:15.

Due mesi dopo, abbiamo ricevuto via mail la comunicazione di buon esito delle analisi e il 24 maggio è arrivato direttamente a casa il certificato di conservazione delle cellule staminali e del tessuto cordonale di Edoardo, riportante i numeri identificativi dei campioni, il codice identificativo cliente e tutti i dati relativi al campione stesso.

A differenza dei nostri amici che al secondo figlio hanno ripetuto lo stesso identico procedimento senza ulteriori indagini per garantire “uniformità di trattamento”, per me la scelta è tutt’altro che scontata. Sono contenta di quanto fatto, ma sicuramente continuerò a informarmi: in un’altra eventuale gravidanza, può essere che decida di non rifarlo, perché il campione di Edoardo può essere considerato sufficiente per la famiglia o perché non vi sono ancora argomentazioni scientifiche sufficienti; può essere che decida di cambiare struttura per poter effettuare la donazione alla collettività o per riuscire a crioconservare anche la placenta; o può essere che replichi esattamente la stessa scelta. La conservazione delle staminali rimane un argomento ancora delicato, aperto e da riproporre in famiglia per le dovute considerazioni.


2 risposte a "Crioconservazione delle cellule staminali: ecco l’iter che abbiamo seguito prima e dopo la nascita di Edoardo"

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