
Una delle esperienze più belle che ho fatto con Edoardo nei suoi primi mesi di vita è stata quella del massaggio infantile. Ho imparato ad apprezzare questa pratica grazie agli incontri organizzati presso il Consultorio familiare di viale Roma (in Novara) e poi attraverso un corso analogo offerto dall’asilo nido Panda (così come da tutti gli asili nido comunali); a Novara l’attenzione a questi servizi di aggregazione, formazione e accompagnamento dei neo-genitori nel loro nuovo ruolo non manca: le lezioni con insegnanti AIMI (Associazione Italiana Massaggio Infantile) sono erogate gratuitamente anche presso il Centro per le Famiglie e, a pagamento, presso “Portami con te” (che io ho frequentato invece per imparare a portare). A valle di questi incontri ho voluto approfondire leggendo il libro Massaggio al bambino messaggio d’amore di Vimala McClure, fondatrice dell’Associazione Internazionale di Massaggio Infantile.
Che oli usare
Al Consultorio Familiare l’olio per il massaggio era fornito, mentre all’asilo ci hanno chiesto di portarlo da casa. L’Associazione Internazionale di Massaggio Infantile raccomanda che i bambini siano massaggiati utilizzando un olio vegetale di alta qualità, preferibilmente biologico, spremuto a freddo e non profumato. Questo tipo di oli contiene ingredienti benefici, è “digeribile” sia dalla pelle che dal corpo, è commestibile, nutre e lascia respirare la pelle e lascia che i bambini possano riconoscere l’odore naturale dei propri genitori. Con Edoardo ho utilizzato sia olio di mandorle dolci acquistato sia olio extravergine d’oliva prodotto da noi.
Come massaggiare il bambino
I cinque incontri sono strutturati in modo che in ciascuno vengano trasmesse le tecniche relative alle diverse parti del corpo: piedi e gambe, pancino e torace, braccia e mani, faccino, schiena. Ogni “seduta” inizia con una fase di rilassamento e respirazione profonda, per rilasciare ogni tensione, concentrarsi su quello che si sta facendo e trasmettere serenità. Poi, la mamma (o l’adulto che massaggia) mette una piccola quantità di olio tra le mani e le sfrega davanti al bambino, annunciando che è l’ora del massaggio. Prima di iniziare, è importante chiedere al bambino il permesso di massaggiarlo; questo gli permette di riconoscere da una parte la routine del massaggio, aiutandolo a sentirsi pronto, dall’altra il rispetto nei confronti del suo corpo, aiutandolo a comprendere la differenza fra un contatto positivo e uno negativo. Al termine del massaggio, è utile eseguire degli esercizi di allungamento, necessari solo fino a quando il bambino non avrà iniziato a camminare.
Nei corsi AIMI non vengono insegnate solo le tecniche per massaggiare il bambino, ma si discute dell’accudimento in senso più esteso, incoraggiando quelle cure prossimali che permettono l’attaccamento tra il neonato e i genitori.
Ascoltare i bambini
Così come quando un bambino piange per un motivo di carattere fisico è necessario fare qualche cosa di attivo, anche se il pianto è dovuto a ragioni emotive è bene intervenire: un bambino che si sente ascoltato, sarà più sicuro.
Immaginate di avere appena superato un’esperienza traumatica, una cosa che vi ha effettivamente turbati profondamente. state per piangere e non siete in grado di rilassarvi o concentrarvi e chiedete aiuto al coniuge o ad un’amica. Cominciate a raccontare ciò che vi è accaduto e come vi sentite.
Dopo un momento di partecipazione la vostra amica comincia a zittirvi, dicendo “su, su, non pensarci, non piangere. Lo sai che non sopporto di vederti piangere. Vieni qui, fammi un sorriso. Adesso ti porto qualche cosa da mangiare, forse dovresti andare dal medico”. Certamente nascondereste le lacrime per preservare questo rapporto, dato che le reazioni della vostra amica vi hanno fatto capire che non potete essere voi stessi in sua presenza.
Immaginatevi adesso nella medesima situazione, ma con una diversa risposta da parte della vostra amica. Cominciate a raccontarle ciò che vi è accaduto e come vi sentite. La vostra amica vi guarda negli occhi, si sporge verso di voi e vi prende le mani: “sono qui, raccontami. Vedo che sei molto turbato e voglio che tu sappia che ti voglio bene e voglio aiutarti a superare questo momento”.
Vi abbraccia e voi vi rilassate singhiozzando nella certezza della sua vicinanza. Talvolta vi esprimete male e talvolta in modo incoerente ma lei vi è vicina e dice: “Dimmi ancora, e poi cosa è successo? Questo fatto deve essere stato molto doloroso per te”. Sentire il suo autentico sostegno e quella fiducia vi consente effettivamente di scaricarvi ed, infine, riprendere possesso della vostra personalità. Il vostro rapporto con la vostra amica è più forte: lei si sente bene per essere stata disponibile nei vostri confronti e voi siete maggiormente in grado di proseguire verso una situazione migliore.
Vimala McClure, “Ascoltare i bambini”
Il pianto

Oltre ad ascoltare i bambini e non ignorarli quando piangono, dato che questa è la prima forma di comunicazione col mondo e serve per attirare l’attenzione dei genitori o di chi si prende cura di loro, è importante accettare il pianto e non vederlo necessariamente come una cosa negativa. Il pianto, infatti, assume anche una valenza liberatoria, per scaricare un momento di tensione. Uno studio della struttura molecolare delle lacrime, raccolte presso il Centro Medico di San Paul-Ramsey dell’Università del Minnesota da piangenti volontari, ha evidenziato la presenza di prolattina (che spiegherebbe perché le donne piangono quattro volte più degli uomini), ACTH, lisozima ed enkefalina; quest’ultimo è un oppioide endogeno e potente anestetico liberato dall’ipofisi in presenza di dolore acuto e renderebbe ragione del fatto che “piangere diminuisce la tristezza e l’ira del 40%”. È interessante notare che queste sostanze sono presenti solo nelle lacrime delle persone che piangono per autentiche emozioni e non in quelle provocate da sostanze irritanti; e che riso e pianto, due forme apparentemente contrastanti del comportamento umano, sono entrambi accompagnati dall’implementazione di enkefalina, che produce sollievo. (fonte: https://www.psicoanalisi.it/psichiatria/4319/)
Intervenire quando un bambino piange rientra nell’istinto di ogni madre. I ricercatori dell’Università di Tokyo, dopo aver chiesto ad alcune mamme di osservare i video dei propri bambini o di altri bambini, in situazioni di pianto o allegria, hanno identificato un’area specifica del cervello femminile che si attiva solo nel momento in cui cui la mamma sente il pianto del proprio bambino. Lo studio, pubblicato sul magazine Biological Psychiatry, dimostra come, in situazioni in cui il bimbo è turbato da qualcosa, l’istinto materno di sopravvivenza dei propri figli si attiva prepotentemente.
Il dibattito sulla gestione dei pianti è stato sinora condotto soprattutto sulla base delle opinioni degli “esperti”, i quali si collocano su due fronti:
- da un lato, l’accudimento basato su una pronta risposta ai richiami del bambino e su una quota elevata di contatto con il neonato (portare in braccio, allattare al seno, dormire insieme);
- dall’altro, un approccio educativo volto a “non viziare” il bambino e a “regolarizzarlo” sulla base di orari e abitudini precise; questo approccio si basa sul timore che rispondere prontamente e sistematicamente al pianto del bambino costituisca una forma di “rinforzo positivo”.
Uno studio è stato condotto su 261 donne inglesi e danesi, divise in tre gruppi praticanti un accudimento con contatto fisico alto, medio e basso rispettivamente. I risultati sono stati pubblicati su Pediatrics: gli episodi di pianto inconsolabile non sono stati differenti nei tre gruppi nel corso del tempo, confutando l’ipotesi che una pronta risposta al pianto ne produca un rinforzo e un incremento; questo è indice di come il pianto non sia fine a se stesso, ma abbia un significato funzionale. Altre evidenze dello studio sono che i neonati accuditi nel gruppo “prossimale” hanno presentato il pianto per circa la metà del tempo rispetto al gruppo a basso contatto fisico e si sono mostrati complessivamente meno irritabili, anche se presentavano il maggior numero di pianti notturni; quest’ultimo dato è correlato non ai risvegli ma alle poppate elicitate, la cui frequenza è un fattore critico per l’instaurarsi dell’allattamento, tant’è vero che esso, nel corso delle settimane, si è ridotto molto meno nelle coppie mamma-bambino con contatto fisico più alto. In conclusione: rispondere prontamente al pianto del bambino non lo incita a piangere più spesso solo per avere la mamma a disposizione, ma anzi riduce il tempo che egli passa a piangere.
La nanna
Un altro aspetto dell’accudimento prossimale che è stato rivalutato per i suoi effetti protettivi è il dormire insieme al bambino. I benefici sono:
- Armonia del respiro: nell’utero il bambino si è abituato al ritmo respiratorio di sua madre, dopo la nascita la madre continua ad agire come un “metronomo” respiratorio;
- Sensibilità reciproca: le mamme che allattano al seno e dormono insieme ai loro bambini hanno più sonno REM, durante il quale l’ossigeno nel sangue, le reazioni di risveglio e la sensibilità ai disturbi delle vie respiratorie sono maggiori;
- Regolazione termica: quando si dorme insieme, il calore corporeo aiuta a regolare la respirazione;
- Consolidamento dello sviluppo: i bambini che poppano più di frequente e hanno più contatto con le loro madri rivelano una crescita globale più consistente, che può favorire un maggiore sviluppo dell’apparato cardiorespiratorio;
- Maggior suzione notturna: i bambini che dormono insieme alle loro madri poppano di più e durante la suzione rivelano fasi di sonno REM, che – come evidenziato al punto 2 – aumenta la quantità di ossigeno nel sangue;
- Stimolazione tattile: la pelle è ricca di terminazioni nervose, pertanto il tatto agisce come stimolatore della respirazione e questo aumenta quando il bambino è allattato al seno e tenuto accanto al corpo della madre che respira e si muove;
- Aumento degli ormoni: l’allattamento al seno, specialmente di notte, stimola la produzione di prolattina, l’ormone che può determinare un aumento della sensibilità della madre nei confronti del bambino;
- Protezione immunologica: i bambini che dormono insieme alle proprie madri poppano più spesso e il latte materno fornisce una maggiore protezione proprio quando l’immunità del bambino è minima.

Così come ci è stato spiegato dalle educatrici e psicologhe del Centro per le Famiglie, il materiale fornitoci al corso di massaggio infantile del Consultorio familiare riporta come per un bambino piccolo possa essere difficile addormentarsi, perché può vivere quel momento come una separazione dalle cose rassicuranti che lo circondano e, non avendo ancora cognizione del tempo e dello spazio, non sa che al mattino le ritroverà. Per questo, è importante accompagnare i bambini nell’addormentarsi-separarsi, attraverso piccoli rituali che possono rassicurarli e aiutarli a lasciarsi andare, rituali che naturalmente si modificano man mano che essi crescono. Può essere utile, poi, rassicurarli su quello che accadrà al loro risveglio e fare in modo che si sveglino nel luogo in cui si sono addormentati. Il modo stesso in cui i genitori vivono l’addormentamento del bambino (e come hanno vissuto il proprio da piccoli) può trasmettere ansia o serenità.
Durante i primi giorni di vita di Edoardo, abbiamo cercato di seguire le linee guida per prevenire la SIDS facendolo dormire in una culletta accanto al nostro lettone. È stato molto faticoso, perché Edoardo si svegliava spesso e con difficoltà si riaddormentava. Poi ho appreso dei benefici dell’accudimento prossimale e ho capito che, come in molti ambiti, non c’è un modo di fare giusto in assoluto. Quando ho appurato che il mio istinto nel tenermelo vicino generava in lui un benessere supportato anche da fonti esterne attendibili, e quando mi sono convinta che il beneficio che ne derivava sulla nostra serenità familiare era molto più importante delle critiche sulla nanna nel lettone, ho deciso di tenere Edoardo con noi (almeno finché ci saranno i risvegli notturni per poppare). Il nostro rituale, seppur con qualche variante, consiste nel moderare il gioco, il tono della comunicazione e le luci intorno alle 20:30, leggere una storia sul divano, fare una passeggiata per casa nel marsupio col papà (il papà canticchia una ninna nanna, Edoardo emette suoni lunghi e cadenzati) e poi una poppata nel lettone con la mamma. La notte prosegue con 2 o 3 risvegli, che però non mi stancano perché durano giusto il tempo di girarmi e porgergli il seno; noi ci svegliamo riposati (anche perché abbiamo preso l’abitudine di andare a letto prima) e lui continua a prendere molto latte nonostante io sia fuori casa per 12 ore al giorno. Per Edoardo la nanna è stato un elemento un poco più critico in fase di distacco rispetto alla pappa, ma ha imparato quando è all’asilo ad addormentarsi da solo lettino e, in generale, a fare pisolini sul letto o sul divano anche senza un contatto fisico.
Per soddisfare il bisogno di nutrirsi di notte senza complicarsi troppo la vita, mamme e bambini per secoli hanno sempre dormito vicini, pratica comune ancora oggi in tantissime culture (ad esempio in Giappone). Questa usanza favorisce l’incremento della produzione di latte, rende le poppate notturne meno faticose per la mamma e aumenta la sensazione di protezione, calore e sicurezza del neonato, che sembra piangere meno frequentemente.
T. Catanzani e P. Negri, “Allattare un gesto d’amore”
Fino a che età praticare il massaggio
Massaggiare i propri figli è una pratica che viene incoraggiata anche quando essi non sono più bambini. Ovviamente cambieranno le modalità, ma a questo bisogna adattarsi fin dal primo anno di vita: se il bambino striscia o gattona, viene suggerito ad esempio di utilizzare canzoni o filastrocche, accogliere le posizioni via via assunte, rendere il tutto giocoso e divertente. Io personalmente ho massaggiato Edoardo, al suono di “Ami tomakè balo basci baby”, dai 2 mesi di vita fino agli 8. Ha iniziato abbastanza presto a strisciare, gattonare e tirarsi in piedi per cui a un certo punto ho smesso di provare a usare le tecniche apprese perché mi sembrava di ostacolare i suoi movimenti e non fargli piacere, anche se costantemente ricerco e accolgo il contatto fisico con lui. Magari riprenderemo quando sarà più grande e consapevole: pare che, in età scolare e adolescenziale, il massaggio predisponga a una maggiore apertura al dialogo e sia un ottimo momento di sfogo. A patto, ovviamente, di rispettare il pudore che dopo i 3 anni si forma (non avrò più le cosciotte cicciotte di Edo tra le mani…).